
Alle varie raccomandazioni per scongiurare il rischio di malattie croniche in età avanzata ne possiamo aggiungere un’altra, molto piacevole: bere caffè sembrerebbe aiutare a controllare il peso corporeo e a tenere alla larga il diabete di tipo 2. La conferma arriva da uno studio che per la prima volta stabilisce una relazione di causa-effetto tra livelli elevati di caffeina nel sangue e un rischio minore di finire sovrappeso o sviluppare malattie metaboliche. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica BMJ Medicine.
Una pista da seguire. Una tazzina di caffè contiene in media tra i 70 e i 150 microgrammi di caffeina (la concentrazione varia in base alla miscela e alla tipologia), e passate ricerche avevano associato il consumo di 3-5 caffè al giorno a una riduzione del rischio di diabete e malattie cardiovascolari. Si trattava però soprattutto di studi che si limitavano a osservare un effetto, senza riuscire a isolare il “potere” benefico della caffeina e a collegarlo con certezza ai suoi effetti sulla salute.
Vediamoci più chiaro. Nella nuova analisi, un team coordinato da Susanna C. Larsson del Karolinska Institutet di Stoccolma (Svezia) ha usato un metodo di ricerca chiamato randomizzazione mendeliana per capire quale effetto avesse di preciso un livello elevato di caffeina nel sangue sull’accumulo di grasso corporeo, sul rischio di diabete di tipo 2 e su quello di alcune comuni patologie cardiovascolari (malattia delle arterie coronariche, ictus, insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale).
La randomizzazione mendeleiana è un metodo statistico che consiste nell’usare le varianti genetiche come variabili strettamente collegate a un particolare fattore (in questo caso i livelli di caffeina nel sangue) per capire se la loro presenza supporti un certo effetto che si vuole indagare (in questo caso un certo peso corporeo o un certo rischio di diabete di tipo 2). Questa tecnica permette di ridurre la probabilità di essere influenzati da fattori confondenti negli studi che si occupano di approfondire le relazioni di causa-effetto tra fenomeni.
Peso sotto controllo. I ricercatori hanno analizzato la presenza di due comuni varianti genetiche legate a come il corpo metabolizza il caffè in circa 10 mila persone di origine europea coinvolte in sei studi a lungo termine. Si sono così accorti che chi presentava le varianti associate a un più lento metabolismo del caffè (e dunque aveva livelli più alti e sostenuti di caffeina nel sangue a fronte di un minor numero di caffè bevuti) presentava anche un minore accumulo di grasso corporeo e un rischio minore di diabete di tipo 2.
I due effetti sono collegati: secondo lo studio il peso corporeo contenuto sarebbe responsabile di quasi la metà (43%) della “protezione” della caffeina dal diabete di tipo 2.
Non sono invece state osservati forti associazioni tra le varianti che “predicevano” alti livelli di caffeina nel sangue e benefici sulle malattie cardiovascolari.
Una spinta al metabolismo. Benché lo studio presenti alcuni limiti, per esempio l’aver considerato solo due varianti genetiche come indicatori o l’avere coinvolto soltanto persone di origine europea, le conclusioni hanno perfettamente senso. La caffeina è nota per accelerare il metabolismo, facilitare i processi con cui bruciamo i grassi e ridurre l’appetito. Si pensa che 100 mg di caffeina al dì (l’equivalente di una o due tazzine) aumentino il dispendio energetico di 100 calorie al giorno: di conseguenza diminuisce il rischio di obesità e quello – connesso – di sviluppare resistenza all’insulina e di contrarre il diabete.
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